Mario Allodi, Barbara Perini, Come progettare il giardino, Guida illustrata di Vita in campagna, n. 2 2025 Per ordinare http://www.ediagroup.it/ita/libri/scheda.asp?ID=25VC02S ...
Un bellissimo trekking sempre sotto la guida esperta di Stefano Mazzotti in Valdossola per godere, tra le altre cose, il foliage autunnale soprattutto dei bellissimi larici.
Tra Domodossola, punto di partenza, con la sua bella piazza del mercato, le raffinate architetture con i loro dettagli preziosi, Val Vigezzo con soste nei pittoreschi paesini di Villette e Malesco e la bellissima val Bognanco con i laghetti alpini, i boschi di larici e le viste stupende delle montagne svizzere dall’Alpe Monscera.
Ecco alcune immagini
Un balconcino a Domodossola
Una caratteristica casa di legno a Domodossola
Decori su una facciata
Val Vigezzo
Val Vigezzo: la meraviglia del sottobosco di muschio sulle pietre. Un ricordo di certi angoli giapponesi
Architetture di pietra
Un angolo a Malesco
a Villette
Val Bognanco
La cortina di larici sullo sfondo
Nuvole
Le tre cime svizzere: WEISSMIES LAGGINHORN FLETSCHORN
Approfitto della recente uscita del mio ultimo libro scritto con un vivaista specializzato in rampicanti e come sempre pubblicato da Libreria della natura, per qualche piccolo flash sull’utilizzo di questa tipologia di piante che davvero sono una risorsa preziosissima sia nei balconi e terrazzi che nei giardini.
Su un muro preferibilmente esposto a Est, una scelta che ci dà grandi soddisfazioni è Hydrangea anomala subsp. petiolaris, una delle più famose ortensie rampicanti. Qui nel mio giardino la scenografia autunnale con le belle foglie a forma di cuore dorate
Per i mesi invernali una piccola rampicante che fiorisce nel mese di novembre con un fiore di un bel giallo oro, Amicia zygomeris qui sul mio balcone a Milano
Un’altra piacevole rampicante per il giardino invernale è Clematis cirrhosa con i suoi fiorellini penduli
Due annuali insolite con fioritura estiva Mina lobata dai fiori di un curioso giallo-arancio e Ipomoea coccninea dal fiorellino di un rosso brillante
Una bella isoluzione per un ingresso del giardino. Idea “rubata” al Prieurè d’Orsan
A volte può essere utile separare tra loro le zone del giardino: ecco una bella soluzione con una struttura ricoperta da rose rampicanti
Oppure le rampicanti possono aiutarci a creare un confine al giardino come in questa bella scenografia nel giardino di una enoteca in Alto Adige
Alcuni arbusti si prestano ad essere impiegati come rampicanti come ad esempio Chaenomeles japonica (chiamata fior di pesco), che ha una fioritura precoce a febbraio
Molto bello associare differenti specie e varietà di rose rampicanti come nella lunghe pergole che segnano il perimetro del Giardino delle rose in Val di Non
Molte rampicanti si prestano ad arrampicarsi sugli alberi: ecco una ortensia rampicante in un giardino londinese
Di nuovo una ortensia rampicante (Hydrangea petiolaris) ma utilizzata come tappezzante in un giardino francese
Un’altra hydrangeacea, Pileostegia viburnoides utilizzata come tappezzante sempre in un giardino francese
Fino al 12 novembre una mostra fotograica imperdibile presso la Exhibition Hall dell’Università IULM: 84 fotografie analogiche in b/n di una delle più importanti fotografe a livello mondiale, la messicana Graciela Iturbide, insignita nel 2025 del Premio Princesa de Asturias para las Artes.
Una mostra emozionante perchè in ogni soggetto scelto dall’artista, siano persone, animali, piante, o paesaggi, si percepisce lo sguardo profondo e amorevole della fotografa. Scatti essenziali che a volte sono come un pugno e che ci aiutano a riflettere sullo scorrere del tempo e sul rapporto così stretto tra vita e morte.
La mostra è a cura dell’antropologo visuale Sergio Raul Arroyo, affiancato nella consulenza storica dal preside della Facoltà di Arti, moda e turismo, Massimo De Giuseppe.
Nonostante il tempo un poco inclemente sono riuscita a vedere anche alcuni parchi durante la mia breve permanenza ad Amburgo.
Due parchi urbani di recente realizzazione, entrambi con aspetti interessanti e molte zone funzionali e Planten um blumen, il parco botanico con un bellissmo giardino giapponese.
Cominciamo da Planten um blumen con il suo davvero notevole ampio giardino giapponese, che in questo periodo autunnale è al suo massimo splendore con il foliage dei suoi tanti aceri.
Giardino giapponese
Il bel laghetto del giardino giapponese
Altre parti molto ineressanti del parco con sculture e sedute tipo le canadesi Aridondack
Baaken Park (Atelier Loidl, 2018) presenta una interessante topografia che consiste in tre alture a differente altezza dove sono collocate le aree gioco e o prati in funzione protettiva dalle inondazioni. L’altopiano più alto (15 m) rappresenta un bel punto panoramico.
Il punto panoramico di Baaken Park
Il Lohsepark (di circa 4 ettar), che si trova 1,5 metri al di sotto del livello delle strade e delle promenade, presenta un’area di “natura selvaggia” recintata, che mostra come un frammento di paesaggio possa evolversi senza intervento umano. Ancora più in basso, chiaramente definito da un ulteriore dislivello, si trova il livello storico: i resti architettonici della Hannoversche Bahnhof possiedono un proprio linguaggio visivo e ricordano la storia della stazione, principale punto di partenza per la deportazione di ebrei, sinti e rom durante la Seconda guerra mondiale. Come uno strato geologico più profondo, il sito si trova a un metro sotto il livello del parco e fino a tre metri sotto il livello della città.
Tre giorni ad Amburgo, città che non conoscevo e che ho trovato decisamente affascinante anche in giornate di vento, pioggia e freddo. Una città d’acqua, il fiume Elba, i canali e i due laghi, tanti ponti, e molte prospettive aperte. Una città che ha saputo trasformare i vecchi docks del quartiere Speicherstadt (magazzino + città) in residenze, uffici e alcuni musei, tra cui il più importante e davvero straordinario quello navale. Sono architetture imponenti e molto belle, tutte di mattoni rossi, costruite tra fine ottocento e inizi novecento e che, come spesso le costruzioni ad uso industriale, hanno le sembianze di cattedrali e che ricordano un pò il veneziano Molino Stucky.
Tra le nuove architetture svetta il bellissimo edificio di Elbphilarmonie (Filarmonica dell’Elba), progettato da Herzog &De Meuron nel 2017 come una grande vela che svetta nel porto situato sulla punta del nuovo quartire di Hafen city, un’isola artificiale; una delle sale da concerto più grandi e acusticamente più avanzate del mondo.
Particolari degli interni
Vista notturna
La facciata dello stupendo museo navale, il più importante certamente a livello europeo ma forse del mondo con 8 piani ciascuno dedicato ad un tema della storia navale
Dal museo navale: una delle tante vetrine con la straordinaria collezione di modelli di barche
L’alta marea nella zona del mercato del pesce
Il bell’edificio anni trenta del mercato del pesce
Rathaus Platz
La facciata del Rathaus
Una facciata rivestita di verde nello stile di Patrick Blanc
BELLISSIMA SCENOGRAFIA AUTUNNALE A CURA DEGLI ALUNNI DELL’ISTITUTO SUPERIORE GAE AULENTI DI BIELLA
Come ormai da tradizione ho partecipato come giurata all’edizione autunnale di Masino e per questo comincio a parlare dei premi. La nostra giuria, che doveva premiare l’esposizione più educativa, ha conferito il primo premio al giovane vivaista Giulio Lazzerini dell’omonimo vivaio specializzato soprattutto in aceri, per l’originale e utilissima descrizione delle piante che ne mette in risalto l’utilizzo più adatto e una menzione al vivaio di Maurizio Feletig per la cartellinatura molto accurata che illustra origine, forma e particolari di ogni pianta.
La premiazione di Giulio Lazzerini
Un esempio di cartellinatura del vivaio Lazzerini
Il premio per la migliore collezione è stato attribuito al vivaio Natura e vita per i suoi Iris barbata. Il premio per la pianta più significativa al vivaio di Graziella Tarricone per l’antica varietà di crisantemo ‘Oiseau du Paradis’
Chrysanthemum ‘Oiseau du Paradis’
Infine il FAI ha premiato Valentina Romano, titolare della Libreria della Natura per il suo prezioso ruolo di diffusione della cultura della natura.
Ecco un pò di scatti che ho fatto durante la mia visita
Interessante la piccola collezione di edere del vivaio di fucsie Giardino delle essenze perdute
Mostra pomologica del Vivaio Maioli che ha esposto più di 600 varietà di mele
Come sempre molto bella l’esposizione di Erbario della Gorra e sullo sfondo l’altissimo Aster tataricus
Di cosa tratta questo libro? Della spiritualità delle piante, della loro generosità e saggezza, del modo con il quale comunicano con noi e ci insegnano a vivere. In particolare tratta del concetto di “piante maestre” e della tecnica usata dai curanderos dell’Amazzonia per entrarvi in comunicazione e cioè la dieta, una pratica sciamanica per incorporare la conoscenza, il potere medicinale e l’intelligenza delle piante. Si potrebbe dire che è il fondamento sul quale si struttura l’intero sistema medico vegetalista delle popolazioni native dell’Amazzonia. Consiste in un periodo di tempo, da alcune settimane a interi anni, che un individuo trascorre in isolamento, nella foresta, durante il quale è sottoposto a una serie di restrizioni sociali, comportamentali e alimentari, mentre assume una determinata pianta sotto la guida di un maestro o di una maestra.
Perché “yoga” delle piante maestre? Perché, a un livello profondo, questa pratica amazzonica non è tanto diversa, nei presupposti, nelle finalità, nella struttura e nel livello di impegno, dal percorso di uno yogi indiano: in entrambi i casi ci si ritira in un luogo isolato, con un insegnante, si praticano varie forme di astinenza e di autosacrificio, allo scopo di guarire, fisicamente e spiritualmente, di riconnettersi con con il divino e con la natura e di acquisire conoscenza ed eventualmente anche determinate facoltà “soprannaturali”.
Come si comunica con le piante?
Molte persone parlano semplicemente con le proprie piante e restano in ascolto e testimoniano di come questo dialogo le renda più forti e sane. E questo è già un primo livello di comunicazione. A un livello più profondo, molte piante officinali portano iscritta nella forma, nella struttura e nel colore, il messaggio e la funzione che svolgono per l’uomo e per gli animali. È quella che viene chiamata “segnatura”: così, ad esempio, l’iperico ha una segnatura solare e in effetti sovrintende al buon umore e alla guarigione delle scottature; i fiori del genere Euphrasia ricordano invece nella forma l’occhio umano, con tanto di palpebre cigliate e iride centrale, e infatti tale pianta è usata come collirio e medicina oftalmica. Le piante maestre comunicano a un livello ancora più profondo e siamo noi esseri umani che dobbiamo entrare in silenzio e rispettosamente nel regno dove esse sussurrano.
Alcuni esempi di piante maestre? Ci sono piante specializzate in un determinato campo, piante che sovrintendono al cuore e all’amore, come la Calliandra angustifolia, ad esempio, o alla difesa personale, fisica e psichica, come le Clusiae, alla comprensione dei misteri dell’universo, come la Banisteriopsis caapi, alla conoscenza medica… Ogni tribù amazzonica ha un novero di piante che considera “maestre” ma ogni luogo e popolazione sulla Terra ha le proprie piante di riferimento e, anche se le tecniche per entrarvi in comunicazione spirituale sono magari ormai dimenticate o perdute, le piante vegliano sull’uomo e irradiano tutt’intono la loro sapienza per chi la sa cogliere.
Una bellissima faggeta dove sul terreno si snodano come un ricamo le grandi e lunghe radici degli alberi
Ancora un trekking, sempre guidato dalla brava guida escursionista Stefano Mazzotti, in Val Grande questa volta per salire al monte Fajè. Da una parte boschi di betulle e dall’altra boschi di faggi, distese di felci con già i primi colori autunnali sul bruno-aranciato e tante eriche.
Una vista spettacolare su tutti i laghi dal Maggiore, a quello di Varese, al lago di Mergozzo fino al lago d’Orta.
Ambienti selvaggi e affascinanti
Ecco alcune immagini
Sparse alcune caratteristiche baite di sassi con tetti di ardesia
Faggete magiche
Boschi di betulle
Vista del Lago Maggiore
Vista del Maggiore, del piccolo Mergozzo e più lontano del lago d’Orta
Una piccola guida che si rivolge, in primis, ma non solo, a chi, avendo un proprio spazio verde, ha deciso di affrontarne la costruzione.
Gli autori – Mario Allodi, architetto paesaggista che per molti anni ha diretto la Scuola Arte&Messagio di Milano ed oggi continua l’attività di docenza e quella di paesaggista e Barbara Perini, esperta di comunicazione e progettista del verde – sono riusciti nel difficile compito di rendere chiaro, senza mai banalizzarlo, il processo che dalla ideazione porta, attraverso il disegno e le scelte spaziali, ambientali e botaniche, alla definizione del progetto e alla sua realizzazione sul campo.
La guida traccia un itinerario diviso per tappe in cui, a ogni capitolo, corrisponderà un aspetto progettuale. Molti utili schemi e modelli accompagnano in modo chiaro la trattazione.
“Il giardino è una zona ibrida, «dentro» al paesaggio e «dentro» all’abitazione. Il terrore di mettere mano a un progetto può esseresuperata con alcuni escamotage, ma ci sono regole compositive che è bene conoscere per essere liberi, ma consapevoli, eventualmente di violarle. Quando nel percorso progettuale arriveremo alle scelte della vegetazione, questo margine di libertà dovrà necessariamente sottostare a criteri di oggettività. Se vogliamo un giardino in salute, che non necessiti di continua manutenzione, dobbiamo accettare che la natura possa essere comandata solo assecondandola”.
Quando le montagne russe vennero aperte il prezzo del biglietto era di 25 centesimi ma col trascorrere degli anni aumentò fino a 70. La pista era lunga circa 150 passi e in sette minuti si riuscivano ad effettuare fino a 32 discese tanto che il Garavaglia giunse a guadagnare più di 1000 Lire austriache al giorno: una cifra iperbolica per quell’epoca se consideriamo che negli spericolati carrellini poteva accomodarsi un solo cliente alla volta…Ma dato che il gestore consentiva tranquillamente che si scendesse anche in due tenendo in braccio un’altra persona per massimizzare il guadagno, dopo svariati feriti e contusi, meno male che la Ca’ Granda(l’Ospedale Maggiore era a due passi), le autorità intervennero ponendo il divieto.
La consueta fila di carrozze che intasava Via Marina e i vicini Bastioni si spostò presto in Corso di Porta Romana creando ingorghi clamorosi: dall’alba fino alla mezzanotte centinaia di milanesi si recavano incessantemente in quello spensierato luogo di divertimento, suscitando lo sdegno dei più anziani o dei prelati…Sì, perché quello svolazzare di gonnelle era uno spettacolo irresistibile per i maschietti dell’epoca che attendevano solo di poter ammirare una caviglia senza veli.
Rimanendo in tema di beltà private e pubblico pudore nel 1825 un episodio del Monte Tabor, rimasto celebre, riguardò l’Arciduchessa e Viceregina d’Austria Maria Elisabetta di Savoia-Carignano nonché sorella di Carlo Alberto. Recatasi presso le montagne russe in compagnia altri cinque vicereali tra cui l’Arciduca Ranieri, attese il proprio turno per poter scendere. La folla presente cominciò a sghignazzare, strepitare e applaudire ad ogni reale capitombolo ma quando toccò alla bellissima Maria Elisabetta e nella discesa le si alzarono le sottane, mettendo in bella vista un paio di gambe ben tornite, il fragore fu epocale: se ne parlò per settimane.
Disordini, schiamazzi e incidenti erano ormai la regola attorno al Monte Tabor. Già nel 1820 la polizia revocò la licenza al Garavaglia, ormai ricco ben oltre le sue più rosee aspettative, chiudendo osteria e montagne russe. Le attività furono rilevate da ValentinoNicolassi che mise in sicurezza la discesa, rese gratuita la corsa ai clienti dell’osteria, anch’essa ristrutturata, e allietò il tutto con concerti, spettacoli e balli. Ma di lì a poco, nella primavera del 1821, il Monte Tabor fu teatro del piano più ardito della famigerata Compagnia della Teppa, passato alla storia come Il Ratto dei Nani: uno scandalo che coinvolse molte signorine altolocate compresa la Signora Franchi Traversi, moglie di un famoso avvocato e amica intima del Viceré.
Dal 1823 la proprietà passò al Signor Carlo Conti rimanendo poi in mano ai suoi figli fino al 1866. Le prime montagne russe di Milano, dopo svariate chiusure, videro la propria definitiva fine sotto questa gestione ma la trattoria resistette fino a fine secolo con l’ultimo proprietario noto, Luigi Panighi. Il luogo ospitò in seguito anche un lussuoso hotel con sala da ballo e rimase per anni un punto di aggregazione sociale dove i popolani, con le loro associazioni commerciali, borghesia e aristocrazia, con i loro eventi, si intrecciavano in una Milano di tutti. A onor del vero il vecchio Monte Tabor non perse attrattiva anche per la delinquenza, in particolare la SecondaCompagnia della Teppa, ben lontana ormai dalle goliardate di mezzo secolo prima e sempre più simile alla criminalità organizzata. Dopo alcuni anni, intorno al 1896, l’area fu messa a disposizione della gloriosa società di ginnastica Forza e Coraggio di cui fu membro anche il mitico pioniere del volo Cirillo Steffanini (Il Capitano Stephenson), l’Aeronauta di Porta Romana.
RIVISTA CHE INDICA LA SEDE DELLA FORZA E CORAGGIO SUL MONTE TABOR
Nel 1907, spianata l’area, venne edificata una bella palazzina in stile liberty adibita a stazione funebre (Stazione Funebre di Porta Romana), dal quale partiva un oscuro e sinistro tram che trasportava le salme al Cimitero di Musocco: non ci volle molto perché i milanesi lo ribattezzassero ironicamente La Gioconda.
LA STAZIONE FUNEBRE DI PORTA ROMANA DA POCO TERMINATA
Dopo 1929 l’edificio divenne un circolo ricreativo per i dipendenti di ATM e nel 1963 vi subentrò il Ragno d’oro, storico locale meneghino ancora esistente in altra sede, che ha poi datato il nome allo stesso edificio (Lombardia Beni Culturali). Dal 2007, dopo grandi lavori di rifacimento, la gestione passò sotto alle ormai note Termemilano, divenendo luogo di relax e benessere per tutti milanesi e non solo.